Prato e la Crisi, binomio indissolubile?

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Negli ultimi anni si è certamente abusato della parola “crisi” la si è messa un po’ dappertutto, al servizio di ogni spiegazione, dalla più banale alla più complessa. Per colpa della “crisi” le persone si sono date fuoco davanti al Municipio, per colpa della “crisi” si sono persi soldi, lavoro e dignità. E’ sempre la crisi che ha ridotto il centro di Prato ad una sequenza disarmante ed avvilente di serrande serrate e cartelli fluorescenti (ormai stinti) con su scritta la parola “vendesi” od “affittasi”. La “crisi” condiziona pensieri ed azioni. Non si va in ferie perché c’è la “crisi”, la “crisi” dei valori e dell’autorità permette a qualcuno di sputare in terra e di non raccogliere le deiezioni dei loro cani.

La “crisi” è, piano piano, diventata una condizione esistenziale. Eppure il significato della “crisi” sta tutto nella transizione, nel mutamento; si dovrebbe “attraversare” una crisi per giungere a qualcos’altro, ad un altra condizione diversa dalla prima (non necessariamente migliore). Per rendere questo ragionamento più comprensibile farò una cosa che Oscar Wilde odiava ovvero un esempio: da una crisi cardiaca, o se ne esce, e si torna a vivere (possibilmente in modo più tranquillo), o non se esce e si muore: NON si può vivere anni in crisi cardiaca.
Invece da qualche tempo a questa parte si tenta  l’attraversamento di una “crisi” per  rendersi poi conto che sull’altra sponda comincia una nuova “crisi”, e questo crea un continuum sfiancante.

Certo i tempi non sono floridi ma basta guardare indietro per rendersi conto di come ogni generazione abbia avuto i suoi problemi, dalle guerre alle malattie, dai periodi di povertà alla vita violenta cui da sempre l’uomo è costretto.
Il vero nocciolo della questione, io credo, è che l’essere umano è immutato da millenni, ciò che cambia sono solo gli strumenti che ha d’intorno (e quindi dentro); non ci sono differenze tra gli stupri di massa che venivano perpetuati nei villaggi conquistati, i roghi pubblici, le torture e la fame e ciò che oggi, in “pacchetto deluxe” ci viene proposto dai media. La cosa di cui c’hanno convinto (lo “strumento” che c’hanno dato) è che c’è una “crisi”, anzi, non UNA “crisi” ma LA “crisi”, ed è con questa semplificazione che tentano (tentiamo) di spiegarci tutto. La realtà invece è infinitamente più complessa e non passa certo attraverso una parola sola.

Personalmente non so se c’è davvero questa “crisi” (e non parlo di quella economica, per quella basta saper leggere dei numeri), ma so che questa parola è stata spalmata ovunque ed è ormai molto difficile da spiccicare dalla testa di ognuno di noi. Se non c’è cambiamento non è crisi. Quindi, o cominciamo a cambiare, in modo profondo (e spero, proficuo) o troviamo qualcos’altro che spieghi quello che stiamo vivendo, possibilmente fatto di qualche parola in più.

la psicologia ed il Reparto di Reumatologia d Prato

E’ con l’orgoglio di chi ha visto crescere giorno dopo giorno un progetto e l’ha visto diventare grande e forte che pubblichiamo l’articolo che il Tirreno ci ha dedicato. Non vorremmo aggiungere altro se non la nostra gratitudine a chi a creduto che questo potesse diventare possibile e ha dato il suo contributo.

 

Dott. Cristiano Pacetti &

Dott. Ettore Bargellini

Bevi responsabilmente

La frase che da il titolo a questo post è completamente priva d’ogni possibile significato. Non esiste un modo “responsabile” di bere alcolici perché non esistono quantità minime consigliate. L’OMS ha infatti da tempo classificato l’alcol nella categoria “droghe” togliendo qualunque soglia di sicurezza alle bevande alcoliche. L’alcol è altresì la principale causa di incidente stradale, come riportato in questo bell’articolo sul blog di Ciannilli Luigi Antonio. Ogni giorno la conta dei giovanissimi morti in lamiere contorte è un macabro e infinitamente triste rito che si ripete uguale a sé stesso, per noi che lo guardiamo ma che ha dietro uno strazio (quello dei sopravvissuti, genitori e parenti) difficilmente immaginabile. Lo stato che fa? Citando De André si potrebbe dire che: “S’arrabbia, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità”. Perché se da una parte abbassa il tasso alcolico rilevabile in un guidatore dall’altra permette cose vergognose come questa:

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L’età media degli avventori di un noto locale fiorentino era attorno ai 17 anni, e fra i tavolini all’aperto vagano due ragazzi molti carini (un ragazzo e una ragazza), questi PR avvicinavano chiunque gli passasse a tiro ed il compito che avevano era quello di consegnare dei “gratta e vinci” sponsorizzati dalla Jack Daniel’s. All’interno di questi tagliandi 4 possibili cocktails realizzabili con il suddetto whiskey. Grattando e trovando le giuste combinazioni di frutta si potevano vincere T-shirt, cappellini, moschettoni ecc, (tutto a marchio Jack Daniel’s). Senza contare lo slogan che accompagna la nuova campagna: “Jack on the Beach” (bere whiskey in spiaggia…l’apoteosi del benessere!).  A mio personale parere di uomo prima che di clinico trovo assolutamente riprovevole che si permetta la diffusione di certe strategie di marketing che vanno a colpire direttamente i giovanissimi, uno ad uno, istigandoli (perché di istigazione si tratta) a bere alcolici.  Non è moralmente accettabile che  si possa fare pubblicità così ad una delle principali cause di morte (diretta o indiretta) dei giovani.

Dott. Cristiano Pacetti

Gli effetti della cocaina

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La cocaina è un alcaloide. Ma non credo che questa delucidazione serva. La cocaina è una droga. Ed è una droga maledettamente “cattiva”, perché a differenza dell’eroina non stigmatizza chi ne fa uso e a differenza degli allucinogeni non esige che il consumatore smetta di fare quello che sta facendo. La cocaina è una droga cattiva perché fa credere a chi la consuma che non è un drogato, ma che anzi è una persona iperattiva, piena d’energia e ben calata nella società contemporanea, magari anche un uomo di successo, non come quei “reietti” che si bucano o come quei “fulminati” che calano. Non ci vogliono aghi per la cocaina, non ci sono segni evidenti, la si tira su col naso, o la si fuma. Sembra normale farlo, e sembra, e questo è l’inganno di questa droga, che non ci siano particolari controindicazioni, che, tutto sommato, i benefici siano più dei costi, che fisicamente non lasci particolari segni. Poi “tiravano e tirano ” personaggi di successo del mondo della finanza, dello sport, dello spettacolo, e se lo fanno loro…

Fra qualche anno scoppierà una delle più grandi emergenza sanitarie che l’umanità abbia mai conosciuto, e sarà un emergenza sottesa che non avrà il clamore di un’epidemia di influenza o di un virus letale, ma ci coglierà ugualmente del tutto impreparati. Tra qualche anno (al massimo una decina) tutti quei ragazzi che oggi abusano di cocaina e che lo fanno con la stessa naturalezza con cui si può bere un caffè (che tra l’altro è anch’esso un alcaloide), saranno adulti e soffriranno delle innumerevoli conseguenze che l’uso della polvere bianca porta meschinamente con sé. Infatti, se saranno sopravvissuti al rischio d’infarto, di ictus, o di incidente stradale, avremo delle persone profondamente diverse, modificate nei loro tratti di personalità solitamente nella direzione paranoica. La cocaina, bloccando il riassorbimento della noradrenalina e della dopamina (due neurotrasmettitori) fa sì che il funzionamento normale del cervello si blocchi e che compaiano (sul lungo periodo) un ventaglio di disturbi spesso indistinguibile dalla psicosi, e per i quali non ci sono rimedi che possano riportare la persona allo stato pre-sintomi. L’unica soluzione che abbiamo è quella di non arrivare a questo. Smettere prima che sia troppo tardi, con l’aiuto di chi (famiglia, psicoterapeuti e psichiatri) può farlo.

Dott. Cristiano Pacetti

Attacchi di panico

Descrivere un attacco di panico se non lo si è mai provato non è cosa facile. Infatti, al di là di qualsiasi definizione accademica, niente può rendere il senso di profondo terrore e la sensazione di morte o follia imminente che investe la persona senza che questa possa fare null’altro che subire. È come se non ci fosse niente oltre quei minuti, come se il mondo intero si fosse cristallizzato in un unico orribile attimo di terrore. La tachicardia, l’affanno la sensazione che nulla sia reale…  parole. Queste sono solo parole di uno psicoterapeuta e non possono neanche avvicinarsi alla verità delle persone che l’hanno provata. Molto spesso le persone che soffrono di questo disturbo finiscono per vergognarsene, per rinunciare a parlarne perché per gli altri, sono loro “sani” non hanno niente di organico a scusare le loro crisi. Quasi vengono colpevolizzati “in fondo si ti senti male è perché ti ci vuoi sentire”.

Oggi in televisione si vedono sempre più di frequente psichiatri e medici generici che inneggiano all’uso di psicofarmaci, decantandone i benefici e l’immediatezza dei risultati. Una pasticca e l’attacco passa. Un’altra pasticca e un altro attacco passa. Poi, magari un giorno si finiscono le pasticche… e ci si accorge che la paura non è finita. Se una cosa la psicoterapia la sa fare bene è proprio quella di curare le patologie di spettro ansioso (cui gli attacchi di panico sono un esimio esponente). Allora il dubbio è che ancora una volta le case farmaceutiche si prendano il lusso di fare diagnosi e cura, senza considerare null’altro che il loro, già gonfio, portafoglio.

Dott. Cristiano Pacetti

Quando le parole non bastano

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Questa che segue è la prefazione al libretto che raccoglie i pensieri dei ragazzi delle scuole di Prato che hanno partecipato al progetto “Prima…vera Educazione stradale”. Noi, assieme all’Associazione Marco Michelini, portiamo da ormai qualche anno nelle scuole che ne fanno richiesta, un messaggio che crediamo essere diverso dai soliti, abusati (e troppo spesso inascoltati), inviti alla prudenza. Quest’anno abbiamo voluto dare voce ache ai veri protagonisti, ai ragazzi. I quali, ancora una volta stupiscono per profondità e freschezza. Questo è un omaggio, a loro, a Marco, e a chi si impegna per rendere le strade un luogo più sicuro. 

La morte di un ragazzo di venticinque anni è qualcosa di orrendo ed ingiusto, qualcosa che le parole  fanno fatica a raccontare. Marco se ne è andato il 25 maggio del 2005. Da allora abbiamo cercato di incontrare quanti più giovani possibile per parlare di sicurezza stradale, nel tentativo di dare un senso a questa e ad altre tragedie. La strada è il luogo dove i ragazzi muoiono più spesso, dove la vita se ne può andare in un attimo; ma la strada è anche il “viaggio e la scoperta”, il punto di partenza per ogni momento rubato all’immobilità ed alla noia. Il viaggio è l’unico modo che abbiamo per crescere. Allora, al di là di tutti i numeri e di tutte le immagini di dolore che stanno dietro agli incidenti stradali, al di là delle grida rubate dalle telecamere e dei segni lasciati sull’asfalto, noi abbiamo preferito aiutare i ragazzi a cercare l’aspetto sano ed esaltante del muoversi. Per quanto i drammi e la morte ci colgano sempre impreparati, parlare di questi argomenti può trasformarsi, soprattutto con i più giovani, in un esercizio retorico che va ad aggiungersi alla decine di voci che quotidianamente ignoriamo. Così abbiamo deciso di rinunciare alla didattica fatta di norme e di moniti e abbiamo cominciato a raccontare delle storie. Storie di ragazzi sulla strada, storie di ragazzi a cui la strada ha chiesto un pedaggio terribile, storie di chi alla fine si è salvato, storie di chi, come Marco, ci ha lasciato troppo presto. Questo è stato il nostro tentativo di coinvolgere i ragazzi e lasciargli un messaggio sul quale riflettere. Niente di più. In mezzo al bombardamento costante e paradossale di chi si lamenta per le stragi mentre vende stili di vita tanto più remunerativi quanto più spingono a rischiare e sballarsi, il nostro progetto rappresenta solo un momento. Siamo consapevoli che un momento è poco, ma poco basterebbe anche per salvarsi la vita. Queste lettere ci dicono che il viaggio che abbiamo intrapreso assieme ai ragazzi, a volte guidandoli, altre volte semplicemente camminando vicini, è un percorso fatto di riso e pianto, di riflessione e svago, ma soprattutto fatto di emozioni. Emozioni che abbiamo vissuto senza risparmiarci, senza tirarsi indietro, con coraggio e cuore. Grazie ragazzi.

 

Dott. Ettore  Bargellini

Dott. Cristiano Pacetti