Psicologia infantile: la terapia (2)

La possibilità di coinvolgere  un bambino in un percorso di terapia familiare è qualcosa che solitamente suscita qualche perplessità e resistenza. Spesso sono gli stessi genitori ad avanzare delle legittime richieste di chiarimento. In questa sede  sarà sufficiente dire che i bambini si prestano più o meno volentieri a qualche colloquio se i genitori sono più o meno convinti che sia utile dover andare in terapia.Di frequente  gli adulti valutano ed interpretano differentemente il problema, questa, assieme ad altre divergenze, sono proprio uno degli aspetti fondamentali per individuare modalità alternative e condivise di gestione e risoluzione delle difficoltà sofferte dai figli. Non di rado l’intera famiglia si presenta in seduta con una visione del problema o del sintomo poco chiara, come se fosse qualcosa di apparentemente incomprensibile. Mi preme di conseguenza insistere su quelle che ritengo essere  le funzioni principali del processo terapeutico familiare: 1) Fornire alla famiglia gli strumenti per vedere e comprendere il sintomo come l’espressione di un qualche disagio dotato di storia, di funzione e quindi di senso 2) Operare di conseguenza questa trasformazione di significato, dove il il sintomo non è più qualcosa di incomprensibile e terrorizzante, ma, proprio perché dotato di senso, qualcosa che potrebbe essere compreso, condiviso e risolto in base al suo essere relazionabile.

Vorrei  adesso approfittare di questo spazio in maniera paradossale mostrandovi cosa  e come NON DOVREBBE ESSERE LA TERAPIA FAMILIARE. Buona visione

Dottor Ettore Bargellini

Psicologia infantile: la terapia (1)

angeli

Il modello sistemico relazionale propone come “setting” ideale per l’osservazione ed il trattamento delle problematiche infantili quello che si riferisce al bambino e ai genitori congiuntamente. Oggi  ci troviamo in un periodo storico e scientifico dove la fase d’inquadramento psicodiagnostico nei bambini ha integrato le importanti indicazioni fornite dalla psicologia familiare  proprio riguardo alle dinamiche relazionali-familiari sottostanti all’evoluzione di molti disturbi. Agli esordi della psicologia infantile hanno dominato le posizioni ed interpretazioni psicodinamiche (d’estrazione freudiana) oggi assistiamo invece ad un allargamento verso “la relazione”, in particolare modo verso la relazione diadica con i care giver. Allo stesso tempo c’è stato un ulteriore ampliamento verso il così detto “triangolo primario”, aggiungendo finalmente anche la terza figura del padre all’interno della relazione di primaria importanza per lo sviluppo del bambino. Già a 3 mesi il piccolo riconosce le due figure genitoriali distintamente e, all’interno delle diverse relazione, si creano alleanze alterne. I disturbi dei bambini sono quindi particolarmente sensibili e reattivi al contesto familiare, di conseguenza i genitori, spesso in modo inconsapevole, possono stimolare o irrigidire comportamenti problematici o sintomatici. Questo non significa certamente che esista un rapporto di causa effetto tra coniugalità disfunzionale e psicopatologia dello sviluppo, sicuramente le due cose sono strettamente legate. A volte , per esempio, non è la coniugalità ma la genitorialità a non funzionare bene ( ripetersi di modelli familiari disfunzionali, rigida divisione di ruoli culturali, ecc.). Secondo diversi autori (vedi per es. Minuchin) spesso il bambino si trova all’interno di triangoli relazionali dove c’è tensione. Di conseguenza l’obiettivo della psicoterapia è mettere in carico i genitori rispetto alle difficoltà dei figli e a far sperimentare direttamente in terapia modalità relazionali alternative. Spesso si giunge alla terapia familiare come ultima spiaggia ( prima vengono il neuropsichiatra, i farmaci ecc,) Al contrario più è precoce l’intervento familiare e più velocemente possono rientrare i sintomi, soprattutto se di area psicosomatica e nevrotica. Spesso i genitori di figli con problemi ( soprattutto legati alla condotta) arrivano sfiniti ed esasperati e con una certa punteggiatura verso il bambino: ” Noi siamo così perchè lui è così !” , in questa maniera non se ne esce. La terapia familiare rivela la sua innovazione ed efficacia nel creare le condizioni per consentire ai genitori di pensare ed agire come parte in causa…… ( questo intervento verrà concluso a breve attraverso una secondo e conclusiva parte. Di conseguenza, a presto caro Lettore.)

Infanzia e Videogiochi

Quanto segue è l’articolo che ho scritto per una testata giornalistica specializzata in videogiochi. Vista l’attualità dello stesso volentieri lo riporto.

Piazza della Signoria era gremita. una moltitudine si sussurri, voci e grida. Sul volto dei bambini attoniti ed eccitati tremolava la luce del fuoco, la fuliggine come nera neve scendeva placida sulle teste degli astanti, una colonna di fumo toccava il cielo. Era una bella giornata di Maggio e correva l’Anno Domini 1498. Lo spettacolo per Firenze era il rogo di Savonarola.
San Marino è una Repubblica famosa dentro le cui mura si trova il “Museo della Tortura” gita istruttiva questa. Dalla crocifissione, alla ruota, dal gatto a nove code allo schiaccia-dita. Tanti gingilli che sono serviti per straziare le carni e lacerare l’anima di dolore a tanta gente, innocente o colpevole che fosse non importa. Le torture di piazza nel medioevo erano un’attrazione, la morte era la compagnia di ogni uomo o bambino, la si trovava senza fatica dappertutto, nelle strade, nelle case, nei pensieri. Il concetto d’infanzia è relativamente moderno. Prima non esisteva e il piccolo era semplicemente un uomo in miniatura, cui non spettava nulla di più (o niente di meno) di ciò che spettasse ad un individuo formato. L’uomo è sempre simile a se stesso. La rivoluzione tecnologica, ha cambiato solamente i mezzi con cui mediare, filtrare e modificare il senso di realtà ma non ha portato nessuna evoluzione o involuzione nel costituirsi dell’essere umano. Cambia il contesto ma non l’essenza.
Tutto ciò che c’era esiste ancora anche se in forma diversa.

Fatto questo prologo a mo d’introduzione spero di potermi addentrare adesso con calma e coscienza in quello che sarà l’argomento di questo mio scritto, ovvero la violenza nei videogiochi.
Molto prima che si mettesse il suffisso “video” esistevano (e fortunatamente per qualcuno esistono ancora) i giochi, quelli da fare in strada. Quei giochi spesso erano violenti, o simulavano violenza. I bambini sanno essere terribilmente crudeli, e non hanno mediatori culturali atti a sfavorire la discriminazione: vedono un difetto e lì picchiano, stigmatizzano, offendono e allontanano. Questa è violenza psicologica, poi ci sono spesso le zuffe, i calci, i cazzotti. Questa è violenza fisica. Certo, le cose non vanno sempre così, ma spesso si. E’ compito di un buon genitore insegnare il lecito ed il non lecito, ciò che è male e ciò che è bene, in sintesi è compito dei genitori in primis, e delle istituzione poi EDUCARE i bambini, dargli quello che Freud chiama super-io. E finché si tratta di qualcosa che un genitore conosce, perché ci è passato anche lui, allora la cosa è fattibile, anche se difficilissima. Quando la cosa è addirittura sconosciuta come può essere un videogioco allora la questione diventa irrisolvibile. Di qui la paura.

Più volte ho sentito colleghi psicologi sparare a zero sulla violenza nei videogiochi, li capisco, non sapevano ciò di cui parlavano. Più volte ho sentito redattori difendere a spada tratta i videogiochi, di fronte a qualunque attacco, li capisco, non sapevano ciò di cui parlavano. I primi parlano senza conoscere il prodotto, i secondi senza considerare le implicazioni psicologiche sugli utenti. Come scritto nell’introduzione questo è un mondo violento, governato da persone violente, e, checché se ne dica retto dalla legge del più forte. In questo mondo grondante di sangue, negli ultimi duecento anni abbiamo voluto ritagliare un posto d’onore all’infanzia, a quel periodo sacro e inviolabile che va dagli 0 ai (più o meno) 12 anni. Un’isola felice, cui non dovrebbero arrivare altro che giochi, sorrisi e zucchero. Eppure basta accendere una volta la televisione in casa per farne uscire budella e storie di turpe umanità alle prese con sgozzamenti, assassinii e guerre varie. E se provate a togliere dallo schermo la violenza e il sesso rimarrete con la stupidità e l’ingordigia (al cinema spesso non va meglio). Ma l’umanità occidentale contemporanea vuole (secondo me a ragione) che, utopisticamente almeno l’infanzia sia, quando possibile preservata da questo. Vogliono questo, ma spesso si dimenticano di fare i genitori, si scordano, che esiste anche il “no” e che questo deve essere dosato con giusto tempismo e soprattutto con grande fermezza. L’importante sembra essere che il “bambino non pianga”, perché se piange c’è da durare fatica, bisogna spiegare il perché della nostra decisione, sopportarne le grida e poi consolarlo in qualche altro modo, insomma c’è da perderci un bel po’ di tempo. E ai genitori moderi proprio questo manca. Quindi hai 8 anni e vuoi GTA, Scarface o Saints Row? Bene, dopo passo dal negozio e te lo compro. Basta che tu sia felice.

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Ritalin

 

In America ormai da decenni una delle diagnosi più frequentemente utilizzate nei confronti dei bambini con un età compresa tra i 6 e i 13 anni è quella di “disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività”. Questa diagnosi autorizza gli psichiatri a prescrivere al piccolo una medicina il cui nome è “Ritalin”. Purtroppo questa usanza si sta sviluppando anche da noi. Ma prima di parlare della diagnosi (cosa che avverrà nel prossimo articolo) vorrei illustrarvi che cosa è il questa pillola. Il Ritalin (cui nomi commerciali possono essere: Ritalin, Ritalina, Concerta (capsule a rilascio prolungato), Metadate, Methylin e Rubife) è composto da uno stimolante analogo alle amfetamine, il metilfenidato (MPH). Dall’otto Marzo 2007 è possibile acquistarlo anche in Italia sotto la prescrizione medica. I bambini sotto trattamento con Ritalin hanno spesso nel breve termine dei miglioramenti comportamentali (almeno per quanto riguarda le persone che devono avere a che fare con loro), risultano più gestibili e attenti in classe, meno “bizzosi” coi genitori e più ligi alle regole che fino a quel momento i genitori non erano riusciti a far rispettare. A lungo termine però gli effetti del Ritalin non sono ancora stati indagati con efficacia, si sa però che nel bambino si struttura una dipendenza dalla sostanza, cosa questa che da sola, potrebbe bastare a sconsigliarne l’uso, ma i denaro in gioco è tanto (troppo) e molto spesso la via più semplice (una pasticca) è certo più luccicante di quella più difficile (imparare a fare il genitore).

Dott. Cristiano Pacetti

Incontro di sensibilizzazione alle Scuole Elementari di Prato

Elementari

Stiamo attivando per le scuole elementari pratesi un corso di sensibilizzazione.

L’incontro si propone di offrire agli insegnati delle scuole elementari, e delle medie inferiori, le informazioni necessarie per meglio comprendere le problematiche di ordine psicologico che possono verificarsi durante le prime fasi dello sviluppo dell’individuo.
Il nostro modello teorico di riferimento focalizza l’attenzione sui sistemi e i contesti nei quali il bambino vive e si relaziona, e vede il sintomo, o il comportamento problematico, come un elemento da valutare, interpretare e risolvere attraverso il coinvolgimento dei contesti di riferimento (famiglia, scuola, gruppo dei pari). La scuola è uno dei principali contesti di formazione e scambio entro il quale l’individuo cresce e si relaziona, è quindi importante per il corpo docenti saper registrare tempestivamente comportamenti disfunzionali al fine di attivare risorse idonee alla promozione del comportamento del minore.